La Restauro

Oro

La doratura
La doratura è un’arte antica quanto l’utilizzo dell’oro nelle decorazioni egizie: il professionista portava il nome di “battiloro”, colui che batteva i lingotti d’oro per trasformarli in foglie da adoperare per le opere dedicate ad imperatori e divinità.
Giunta in Europa, anche Leonardo da Vinci si accorse dell’importanza di questa tecnica, progettando un macchinario capace di ridurre lo spessore delle foglie da 0,5mm a 0,03mm.
La meccanizzazione ottocentesca favorì la produzione industriale della foglia oro, ma l’arte del doratore è giunta a noi intatta come lo è stata per secoli.
Se vi capita di incontrare un restauratore bisognoso d’aria, quello sarà proprio il doratore!

La bellezza dei movimenti effettuati durante questa delicata operazione è data dal controllo smisurato della respirazione: infatti, una volta eliminate possibili correnti d’aria, il doratore avrà a che fare con fogli pesanti 5 volte meno di un foglio di carta A4 e del medesimo spessore; per giunta, l’oro è un ottimo conduttore elettrico ed è per questo suscettibile al tocco del corpo umano, per l’acqua presente al suo interno.

La doratura a “guazzo” prende il nome dalla miscela acquosa che viene stesa sulla superficie e che grazie alla sua carica elettrostatica “attira” a sé la foglia oro.
Respirare con la massima cautela ed evitare di maneggiare l’oro con le mani rimangono regole incontrovertibili!

L’intervento di restauro prima di essere attuato dovrà accertarsi della natura dell’oro: questo metallo nobile infatti non è soggetto ad ossidazione, che invece può intaccare le leghe di cui è fatto l’oro falso o “imitazione” e le più comuni porporine, polveri di rame e zinco di diverse colorazioni.

La raffinatezza delle decorazioni dorate applicate al mobile, è il risultato di un elaborato processo di preparazione che non sembra aver conosciuto particolari mutamenti di metodo rispetto al passato e l’estratto seguente ne è la prova:

“..ingessasi il legno con gesso sottilissimo, impastato con la colla piú tosto dolce che cruda, e vi si dà sopra grosso piú mani, secondo che il legno è lavorato bene o male..”
Il libro dell’arte, Cap. XXVIII, Cennino Cennini, XV secolo

Il procedimento qui descritto riguarda “l’ammannitura” o “gessatura”, ossia la stesura a pennello di alcune mani di gesso e colla animale per creare una sorta di pellicola bianca uniforme, celando completamente la venatura lignea sottostante; invece rimarranno ben leggibili gli elementi scolpiti in legno, che non dovranno risultare “appiattiti” dall’eccessiva dose di gesso stesa.

Il secondo ed ultimo strato preparatore prevede l’utilizzo del bolo (dal greco bolos: zolla di terra), un’argilla proveniente dall’Armenia di colorazione variabile dal giallo al rosso, data dalla percentuale di ossido di ferro presente al suo interno; a seconda del periodo storico e della provenienza geografica, è stata riscontrata una variazione della sua tinta, grazie all’uso di essenze vegetali che andavano a completare la tavolozza dei colori possibili.

Questo materiale, unito alla colla animale, è necessario alla stesura dell’oro, poiché in quanto argilla può essere bagnata senza essere rimossa, mantenendosi umida per attrarre la foglia.

Nonostante l’oro sia di per sé un materiale che con la sua naturale colorazione trasmette calore, esso può essere influenzato proprio dalla colorazione del bolo: infatti con un bolo rosso si potranno ottenere tonalità più calde rispetto a quello nero o verde, che andranno invece a “raffreddarlo”.

L’ultimo passaggio prevede l’utilizzo di particolari utensili in pietra dura detti “brunitoi”, che hanno il compito di lucidare le lamine metalliche, imprimendo una pressione regolare su di esse e sullo strato di gesso sottostante: essendo l’ultimo passaggio dell’intervento di restauro, dovrà essere posta particolare attenzione alla possibile rimozione dell’oro appena posato, facendo riaffiorare il bianco del gesso.

“..E così a poco a poco va’ brunendo un piano prima per un verso, poi con la prieta, menandola ben piana, per altro verso. E se alcuna volta, per lo fregare della pietra, t’avvedessi l’oro non essere gualivo come uno specchio; allora togli dell’oro, e mettivene su a pezzo o mezzo pezzo..”
Il libro dell’arte, Cap. CXXXVIII, Cennino Cennini, XV secolo

Un metodo più rapido è quello della doratura “a missione” utilizzato anticamente su superfici lisce e compatte come metallo e vetro: questa “mistione” permette alla lamina metallica di aderire al supporto senza alcuno strato preparatore, anche se spesso viene stesa un imprimitura per dare uniformità alla superficie.

In questo caso i tempi si riducono drasticamente, ma la foglia non potrà essere lucidata come nella doratura “a guazzo”

Il procedimento qui descritto riguarda “l’ammannitura” o “gessatura”, ossia la stesura a pennello di alcune mani di gesso e colla animale per creare una sorta di pellicola bianca uniforme, celando completamente la venatura lignea sottostante; invece rimarranno ben leggibili gli elementi scolpiti in legno, che non dovranno risultare “appiattiti” dall’eccessiva dose di gesso stesa.

Il secondo ed ultimo strato preparatore prevede l’utilizzo del bolo (dal greco bolos: zolla di terra), un’argilla proveniente dall’Armenia di colorazione variabile dal giallo al rosso, data dalla percentuale di ossido di ferro presente al suo interno; a seconda del periodo storico e della provenienza geografica, è stata riscontrata una variazione della sua tinta, grazie all’uso di essenze vegetali che andavano a completare la tavolozza dei colori possibili.

Questo materiale, unito alla colla animale, è necessario alla stesura dell’oro, poiché in quanto argilla può essere bagnata senza essere rimossa, mantenendosi umida per attrarre la foglia.

Nonostante l’oro sia di per sé un materiale che con la sua naturale colorazione trasmette calore, esso può essere influenzato proprio dalla colorazione del bolo: infatti con un bolo rosso si potranno ottenere tonalità più calde rispetto a quello nero o verde, che andranno invece a “raffreddarlo”.

L’ultimo passaggio prevede l’utilizzo di particolari utensili in pietra dura detti “brunitoi”, che hanno il compito di lucidare le lamine metalliche, imprimendo una pressione regolare su di esse e sullo strato di gesso sottostante: essendo l’ultimo passaggio dell’intervento di restauro, dovrà essere posta particolare attenzione alla possibile rimozione dell’oro appena posato, facendo riaffiorare il bianco del gesso.

“..E così a poco a poco va’ brunendo un piano prima per un verso, poi con la prieta, menandola ben piana, per altro verso. E se alcuna volta, per lo fregare della pietra, t’avvedessi l’oro non essere gualivo come uno specchio; allora togli dell’oro, e mettivene su a pezzo o mezzo pezzo..”
Il libro dell’arte, Cap. CXXXVIII, Cennino Cennini, XV secolo

Un metodo più rapido è quello della doratura “a missione” utilizzato anticamente su superfici lisce e compatte come metallo e vetro: questa “mistione” permette alla lamina metallica di aderire al supporto senza alcuno strato preparatore, anche se spesso viene stesa un imprimitura per dare uniformità alla superficie.

In questo caso i tempi si riducono drasticamente, ma la foglia non potrà essere lucidata come nella doratura “a guazzo”

L’argentatura e la “mecca”
Non sempre i committenti sono stati disposti a spendere un occhio della testa in presenza di una valida alternativa di minor prezzo: questa volontà di risparmiare, combinata con il desiderio di essere sempre circondati da oggetti di valore, sembra aver spinto gli antichi mobilieri a sostituire la foglia oro con un materiale di pregio inferiore, l’argento.

Il pregio di questo metallo è stato storicamente sottostimato rispetto all’oro, soprattutto a causa della sua bassa resistenza ad agenti esterni, quali ad esempio i composti dello zolfo presenti nell’aria, che ne causano l’ossidazione, visibile dall’annerimento superficiale. Nonostante questo, l’argento era stato adoperato per millenni nella produzione di ornamenti ed utensili ed il suo valore subì un brusco calo solo a seguito della scoperta dei giacimenti auriferi in America Latina.

La soluzione che venne adottata per mascherarne l’utilizzo e per proteggerlo dall’annerimento, fu l’impiego di una vernice detta “mecca” che probabilmente ebbe origine nell’antica Cina: gli ingredienti che la compongono sono resine vegetali, miscelate nei secoli con le proporzioni più svariate. Il ruolo più importante viene giocato dal “sangue di drago”, una resina ricavata da alcune piante tropicali, che dona alla mecca la tipica tinta rossa: diluita in alcool ed unita a gomma sandracca, gomma gutta, gomma elemi, aloe e colofonia, la vernice ricavata ha il potere di elevare l’argento al rango dell’oro, anche se con toni più freddi.

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