La Restauro

Legno

1. Disinfestazione

Normalmente messo in campo come primo intervento, la disinfestazione ha come obbiettivo quello di debellare il manufatto dalla presenza di organismi che si nutrono prevalentemente di legno, definiti “insetti xilofagi” o più comunemente detti “tarli del legno”; essi vivono e si sviluppano all’interno del legno, cibandosene e creando delle vere e proprie gallerie.

Vi sono alcuni indizi che possono aiutare, prima che sia troppo tardi, a bloccare la loro azione distruttiva: il tipico rumore da “rosicchiamento” fa intendere che l’azione xilofaga è già in atto, mentre i fori visibili in superficie, detti “fori di sfarfallamento”, sono le porte d’uscita dei tarli che hanno portato a termine il loro sviluppo da larva in adulto, evidenziati anche da accumuli di polvere di legno vicino ad essi, risultato del loro lauto pasto.

Questi insetti nei secoli si sono sviluppati a tal punto da variare la loro dieta, fino ad includere il legno di conifera, soprattutto quello stagionato o molto antico, quindi purtroppo nessun legno è esente dal loro attacco.

A seconda della natura del deterioramento e delle caratteristiche del mobile (lucidato, dipinto, dorato, di grandi dimensioni, ecc), si può decidere di operare attraverso due modalità principali: trattamento con antitarlo liquido e trattamento antitarlo con sacco anossico.

La prima tipologia di intervento si caratterizza per la sua facilità di applicazione e sfrutta la capacità d’assorbimento del legno, applicando la soluzione liquida ad iniezione o a pennello: in base alla porosità dell’essenza lignea, essa si diffonderà più o meno rapidamente e si potrà osservare immediatamente il suo effetto con la fuoriuscita degli insetti xilofagi.

La disinfestazione con camera anossica ha per obiettivo quello di creare un’atmosfera circoscritta e modificata, impoverita di ossigeno, affinchè gli organismi aerobi presenti all’interno del manufatto (il cui metabolismo è basato sull’utilizzo di ossigeno) vengano debellati.
Il trattamento prevede il collocamento dell’oggetto in apposite sacche anossiche assieme ad assorbitori ed indicatori di ossigeno: per garantirne la buona riuscita, è necessario un minimo di 21 giorni di attesa affinché si raggiunga l’eliminazione totale degli insetti.

Questo metodo a differenza delle altre modalità d’intervento, ci permette di operare in modo assolutamente ecologico e senza agire direttamente sull’opera; esso però è strettamente collegato alle dimensioni del mobile ed alla possibilità del suo smontaggio e collocamento nelle sacche anossiche.

2. Consolidamento ed integrazioni
Ogni pianta da cui il legno viene ricavato, vive le proprie disavventure e ne porta le cicatrici, proprio come qualsiasi essere vivente.

Successivo al trattamento antitarlo, vi è quello dell’integrazione delle mancanze e delle parti degradate del manufatto, che possono essere di natura sia strutturale che estetica.

I principali agenti del degrado di un mobile in legno sono i cambiamenti termoigrometrici, dati dal cambiamento di temperatura, dall’esposizione alla luce solare e dal tasso di umidità presente nell’ambiente. Fin dal XVIII secolo, lettere e documenti confermano la preferenza di alcune essenze perché più resistenti all’umidità, come anche sottolineano l’importanza di eseguire tavole di spessore maggiore perché meno soggette ad imbarcamenti e torsioni. Il legno è infatti un materiale anisotropo, il che significa che ad ogni sua direzione corrisponde una variazione ed un conseguente movimento definito “ritiro” assiale, longitudinale, tangenziale e radiale (disegnino).

Il restauro ricorrerà quindi ad un’attenta analisi iniziale, in cui verranno individuate le essenze lignee e le tecniche di costruzione utilizzate, i tipi di incastro e i materiali di incollaggio messi in opera, in modo da garantire il rispetto del linguaggio del mobile.
Nel caso in cui l’opera avesse perso le sue caratteristiche strutturali, a causa dell’attacco biologico o per l’eccessiva umidità, si tratterà il legno con un consolidante specifico, in modo da restituirgli la sua resistenza meccanica. Concretamente, il trattamento di consolidamento si riterrà necessario in presenza di un evidente indebolimento della struttura di sostegno tale da non permetterne la corretta fruizione, che sia essa la zampa infradiciata di un cassettone o il telaio tarlato di una sedia.

D’altra parte, quando il legno avesse raggiunto uno stato di degrado estremo, nessun trattamento avrà più efficacia e si dovrà procedere alla sostituzione delle parti indebolite con nuovi pezzi.

Successivo al trattamento antitarlo, vi è quello dell’integrazione delle mancanze e delle parti degradate del manufatto, che possono essere di natura sia strutturale che estetica.

I principali agenti del degrado di un mobile in legno sono i cambiamenti termoigrometrici, dati dal cambiamento di temperatura, dall’esposizione alla luce solare e dal tasso di umidità presente nell’ambiente. Fin dal XVIII secolo, lettere e documenti confermano la preferenza di alcune essenze perché più resistenti all’umidità, come anche sottolineano l’importanza di eseguire tavole di spessore maggiore perché meno soggette ad imbarcamenti e torsioni. Il legno è infatti un materiale anisotropo, il che significa che ad ogni sua direzione corrisponde una variazione ed un conseguente movimento definito “ritiro” assiale, longitudinale, tangenziale e radiale (disegnino).

Il restauro ricorrerà quindi ad un’attenta analisi iniziale, in cui verranno individuate le essenze lignee e le tecniche di costruzione utilizzate, i tipi di incastro e i materiali di incollaggio messi in opera, in modo da garantire il rispetto del linguaggio del mobile.
Nel caso in cui l’opera avesse perso le sue caratteristiche strutturali, a causa dell’attacco biologico o per l’eccessiva umidità, si tratterà il legno con un consolidante specifico, in modo da restituirgli la sua resistenza meccanica. Concretamente, il trattamento di consolidamento si riterrà necessario in presenza di un evidente indebolimento della struttura di sostegno tale da non permetterne la corretta fruizione, che sia essa la zampa infradiciata di un cassettone o il telaio tarlato di una sedia.

D’altra parte, quando il legno avesse raggiunto uno stato di degrado estremo, nessun trattamento avrà più efficacia e si dovrà procedere alla sostituzione delle parti indebolite con nuovi pezzi.

3. Verniciatura “a tampone”
L’artigiano riesce ad intravedere anche negli scarti più impensabili nuove incredibili lavorazioni.

La gomma lacca, ingrediente base di questa tecnica, è infatti la secrezione resinosa di un insetto orientale (della famiglia della cocciniglia), utilizzata inizialmente per tingere i tessuti e, solo nell’800, introdotta come materia prima della lucidatura.

Il restauro della lucidatura prevede sia il ripristino della vernice originale che il suo mantenimento: nella prassi del restauro è infatti sempre privilegiato un intervento mirato alla conservazione della patina originale del manufatto, elemento proprio di qualunque opera d’arte, riportandola al suo aspetto iniziale. Per questo motivo, si predilige una preventiva riduzione di spessore dello strato di gomma lacca, invece di una sua prematura sverniciatura totale

La lucidatura “a tampone” è un’operazione che combina sapientemente velocità e pazienza perché, una volta realizzato il tampone e la soluzione di gomma lacca, i movimenti che verranno effettuati saranno rapidi e ripetitivi: durante questo processo, si potrà notare la tipica “slumacatura”, una scia lucida rilasciata dal tampone che, quando viene a mancare, avverte che il tampone si è ormai “svuotato” e che è arrivato il momento di riempirlo nuovamente di gomma lacca, per evitare di rimuovere quella già stesa.

Una volta portato a termine il procedimento, sarà richiesta una notte di “riposo”, in modo tale che la vernice si cristallizzi e diventi come una vera e propria pellicola protettiva.

Nei laboratori di restauro quando si lucida, rieccheggia il ritornello del Maestro Miyagi in Karate kid: “Dai la cera, togli la cera”

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